Tutti gli ostaggi di Gaza

Tel Aviv frena sulla fase due dell’accordo di tregua e blocca elettricità e aiuti alla Striscia di Gaza per forzare la mano a Hamas. Questo il focus di Alessia De Luca per l’ISPI.
È stallo a Doha nei negoziati sul cessate il fuoco a Gaza, dove la delegazione israeliana pretende di modificare l’accordo di tregua sancito a gennaio, estendendo la ‘fase uno’ (terminata il primo marzo scorso) di 60 giorni, e cancellando di fatto la ‘fase due’ che avrebbe dovuto condurre al ritiro israeliano e alla fine dei combattimenti. Contro il dietrofront del governo di Tel Aviv su un’intesa già negoziata, premono anche i parenti degli ostaggi israeliani, che hanno presentato alla Corte suprema un’istanza per chiedere il ripristino delle forniture di elettricità e gli aiuti alla Striscia perché la sospensione decisa domenica dal governo israeliano, dicono, mette in pericolo la vita dei loro cari. Ma sul premier Benjamin Netanyahu – in aula in questi giorni per uno dei processi per corruzione a suo carico – le pressioni non sembrano fare effetto. L’interruzione degli aiuti nell’enclave palestinese risponde a un obiettivo preciso: fare pressione su Hamas perché accetti le nuove condizioni, che consentiranno a Israele di riprendere le ostilità quando a Gaza non ci saranno più ostaggi da recuperare. Proseguire il conflitto infatti è l’unico modo per tenere insieme i pezzi del suo governo, mentre l’estrema destra che minaccia di uscirne già scalpita: ieri il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e quello della Difesa Israel Katz hanno annunciato nuovi benefici per i riservisti dell’esercito e lavorano a un’amministrazione “per la migrazione” incaricata di sovrintendere all’esodo dei palestinesi dalla Striscia.
Una punizione collettiva?
Se la proposta israeliana di estendere la fase uno della tregua per altri 60 giorni ha ricevuto l’avallo dell’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, non è affatto detto che sarà accettata. Hamas infatti, accusa Israele di aver rinnegato l’accordo di cessate il fuoco originale e nonostante le pressioni dei mediatori regionali, Qatar ed Egitto, è improbabile che accetti di consegnare altri ostaggi – che considera le sue uniche pedine di scambio nei colloqui – senza ottenere la fine dei combattimenti a Gaza. Per convincere il gruppo ad accogliere la proposta, Israele sta esercitando una punizione collettiva sull’intera popolazione civile dell’enclave. Al momento, circa 2,3 milioni di persone nella Striscia sono senza elettricità, senza cibo e senza acqua dopo che il governo di Tel Aviv ha bloccato tutte le consegne di aiuti, compresi cibo e carburante. È stata interrotta anche la fornitura di elettricità all’unico impianto di desalinizzazione ancora funzionante sul territorio e che ora funziona a capacità ridotta grazie ai generatori. Il taglio riduce del 70% l’approvvigionamento idrico al centro e al sud di Gaza, un intero territorio la cui situazione umanitaria è già al collasso e dove già si contano più di 48mila morti e oltre 111mila i feriti dal 7 ottobre.
‘Gazificare’ la Cisgiordania?
Mentre Gaza è di fatto sotto embargo, in Cisgiordania aumentano le operazioni di sfollamento di massa e i raid ai danni dei palestinesi. Secondo un rapporto dell’organizzazione per i diritti umani B’tselem, nelle ultime settimane le forze armate israeliane hanno messo in atto alcune delle operazioni più massicce mai realizzate nella zona da almeno due decenni. “Queste azioni suggeriscono che Israele sta lavorando verso la ‘Gazificazione” della Cisgiordania” osserva B’tselem, un’organizzazione israeliana per i diritti umani che documenta e denuncia le violazioni dei diritti dei palestinesi, secondo cui i dati mostrano un aumento esponenziale degli attacchi contro bambini e minori. “In molti casi le forze israeliane sparano e uccidono palestinesi, compresi bambini, che non rappresentano un pericolo reale. Né le pietre né gli esplosivi improvvisati causano danni significativi ai veicoli blindati in cui vengono trasportate le forze” osserva il rapporto, secondo cui “l’esercito crea deliberatamente situazioni in cui può rivendicare una giustificazione legale per sparare”. Finora, le operazioni militari avviate in tre campi profughi della Cisgiordania hanno costretto 40mila persone ad abbandonare le loro case, il più grande sfollamento mai imposto nella zona dall’inizio dell’occupazione israeliana nel 1967. “Il completo disprezzo di Israele per il diritto internazionale nella guerra a Gaza si sta ora replicando sotto i nostri occhi in Cisgiordania” ha affermato il direttore esecutivo di B’Tselem, Yuli Novak.
Ostaggi da entrambe le parti?
Le accuse nei confronti del governo israeliano non sono isolate. Già a novembre, nei suoi mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti di Netanyahu e dell’allora ministro della Difesa, Yoav Gallant, la Corte Penale Internazionale (Cpi) affermava di avere fondati motivi per ritenere entrambi responsabili di aver usato “la fame come metodo di guerra”. Eppure a distanza di mesi, il governo israeliano è ancora in grado di imporre le stesse misure sulla popolazione palestinese stremata senza timore di rappresaglie: dai paesi europei sono arrivate solo blande dichiarazioni di condanna, mentre l’amministrazione Usa non ha avanzato alcuna critica. Gli unici a chiedere a gran voce la ripresa degli aiuti verso Gaza e la fine dei combattimenti sono i parenti degli israeliani ancora in ostaggio di Hamas per cui, al pari dei palestinesi, questi sono giorni drammatici. La scorsa settimana alcuni di loro erano stati violentemente allontanati mentre cercavano di entrare in parlamento, dove si votava per l’apertura di un’inchiesta indipendente sulle responsabilità per i fallimenti della sicurezza il 7 ottobre 2023 osteggiata da Netanyahu. È stato il momento più duro di uno scontro che va avanti da mesi, con i familiari degli ostaggi che accusano il premier di voler “seppellire” i loro cari, facendo deragliare l’accordo di tregua per i propri interessi.
Il commento di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre
“Se le roboanti proposte del presidente Trump sul futuro di Gaza e dei palestinesi hanno suscitato grande clamore mediatico, sembra invece passare sottotraccia l’‘assedio’ della Striscia da parte di Israele al termine della prima fase della fragilissima tregua con Hamas. Dopo il blocco totale degli aiuti umanitari e ora la volta del taglio alle già scarse forniture elettriche al martoriato territorio palestinese. Mentre a Doha si negozia, il governo Netanyahu sta utilizzando ogni mezzo per fare pressioni su Hamas con il concreto rischio di ridurre allo stremo la popolazione gazawi già duramente provata da un anno e mezzo di conflitto. Di fronte a tutto ciò, resta da chiedersi se questi sono i metodi di uno stato di diritto”.
[Fonte e Foto: ISPI]