La crisi dei due Sudan

L’arresto del vicepresidente Riek Machar in Sud Sudan alimenta i timori di un ritorno alla violenza, mentre nel nord la guerra civile è ad una svolta. Questo il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.
L’arresto di Riek Machar, primo vicepresidente del Sud Sudan, ha fatto piombare il paese più giovane del continente africano e del mondo, resosi indipendente dal Sudan nel 2011, in un clima di allarme e tensione. Ieri sera un convoglio armato guidato da alti funzionari della sicurezza, tra cui il ministro della Difesa, è entrato nella residenza di Machar, ha disarmato le sue guardie del corpo e arrestato il vicepresidente e la moglie Angelina Teny, ministro degli Interni. I due sarebbero agli arresti domiciliari. Le autorità di Juba non hanno rilasciato dichiarazioni in merito, ma nelle ultime ore, rivolgendosi ai leader religiosi del paese, il presidente Salva Kiir ha affermato che non avrebbe permesso al vicepresidente “di riportare il paese in guerra”. La missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan, Unmiss, avverte però che il Sud Sudan rischia di perdere “i successi duramente conquistati negli ultimi sette anni”. In una nota, l’Unmiss esorta le parti a “cessare immediatamente le ostilità e ad avviare un dialogo costruttivo che ponga gli interessi del popolo al centro in un momento cruciale per il paese”. Di fatto, l’arresto fa saltare l’accordo di pace e di condivisione del potere che nel 2018 aveva posto fine a una guerra civile durata cinque anni e costata la vita a circa mezzo milione di persone.
Un equilibrio minato dalla sfiducia?
Sia Kiir che Machar sono leader storici del Sudan People’s Liberation Movement (SPLM), che dopo decenni di guerra civile aveva portato il Sud Sudan alla secessione e all’indipendenza dal Sudan dell’allora presidente Omar al Bashir, nel 2011. Ma appartengono a gruppi etnici rivali: Kiir è Dinka, il gruppo etnico più diffuso nel paese, e Machar è Nuer, il secondo gruppo più numeroso. A soli due anni dall’indipendenza da Khartoum la loro rivalità aveva innescato un conflitto che ha precipitato il Sud Sudan nel baratro della guerra civile e l’accordo di pace del 2018 – che di fatto interruppe le violenze – non ha ripristinato alcuna fiducia reciproca. Machar accusa Kiir di governare con metodi autoritari e brama di prendere il suo posto alla guida del paese. Kiir a sua volta, accusa il vice di essere implicato negli scontri che da metà febbraio agitano lo stato nord-orientale dell’Upper Nile, roccaforte di Machar il cui sottosuolo è ricco di petrolio. Le violenze hanno causato fino ad oggi lo sfollamento di 50mila persone. Le tensioni avevano portato nei giorni scorsi anche all’arresto del governatore dello stato, del numero due dell’esercito, del ministro del petrolio e di una decina di alti funzionari dell’opposizione, tra cui il vicegovernatore dello Stato dei Laghi (Lakes State) e il ministro dell’Istruzione dello Stato di Unity.
Rischio escalation regionale?
La crisi politico-militare è aggravata dalla presenza di truppe e tank che il presidente ugandese Yoweri Museveni, alleato di Kiir, ha schierato nel paese in seguito a una richiesta del presidente Kiir e in violazione dell’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite. Come contestato da diversi osservatori, il crescente ruolo di forze straniere mette ulteriormente in pericolo i civili e rischia di provocare un’escalation regionale. Accuse che il governo ugandese respinge al mittente, affermando che lo spiegamento risponde all’esigenza di mantenere intatto il processo di pace rafforzando la presa di Kiir sul paese. Nell’apparente tentativo di fermare l’escalation, quest’ultimo ha ordinato l’immediata sospensione di tutte le operazioni militari in corso. Ciononostante, le ambasciate straniere hanno ridotto il personale diplomatico e invitato i cittadini a lasciare il Sud Sudan. Gli Stati Uniti hanno esortato Kiir a liberare il suo rivale, chiedendo ai due leader a dimostrare impegno per la pace.
Due crisi che si rafforzano?
Mentre il Sud Sudan scivola pericolosamente verso l’instabilità, nel vicino Sudan la guerra civile tra Forze di Supporto Rapido (Rsf) ed Forze armate Sudanesi (Saf) – che pure in varie occasioni ha coinvolto civili in zone al confine o comunità di cittadini Sud Sudanesi ancora presenti in Sudan – è ad un punto di svolta. Il leader de facto del paese, alla guida dell’esercito sudanese, generale Abdel Fattah al-Burhan, ha annunciato dopo settimane di assedio, la ripresa della capitale Khartoum, dichiarandola “libera” dai paramilitari avversari. Nonostante gli ‘Accordi di pace globale’ del 2005 e la successiva secessione dal Sudan, i rapporti tra Khartoum e Juba sono rimasti tesi, spesso infiammati a causa della demarcazione dei confini, delle entrate petrolifere e delle reciproche accuse di sostegno ai gruppi ribelli. La corruzione, la mancanza di un governo efficace e la debolezza delle istituzioni a Juba come a Khartoum hanno alimentato episodi di violenza. Mentre le tensioni latenti continuano a oscurare le relazioni tra le due nazioni, a quasi 14 anni dall’indipendenza del Sud Sudan, e gli analisti avvertono che un passo falso rischia di riaccendere conflitti regionali che un tempo travolgevano il Corno d’Africa.
Il commento di Sara de Simone, ISPI Associate Research Fellow
“L’arresto di Riek Machar si inserisce in un quadro di tensioni crescenti che negli ultimi giorni avevano già provocato scontri a fuoco in alcune aree della capitale Juba. Insieme all’occupazione di un avamposto militare nella regione dell’Upper Nile da parte di una milizia alleata del movimento di Machar, l’SPLA-IO, l’arresto del vicepresidente ricorda al mondo intero che anche quando Kiir e Machar prendono decisioni condivise nel comune interesse (come quella di rinviare le elezioni per la terza volta, a dicembre 2024), in realtà restano molto distanti. A questa distanza, a lungo ignorata nel tentativo di far funzionare il fragilissimo accordo di pace del 2018, si aggiunge oggi il peso della crisi economica provocata dallo stallo nella produzione petrolifera e la pressione che arriva dalla guerra civile in Sudan”.
[Fonte e Foto: ISPI]