Papua Nuova Guinea: almeno 26 morti per le violenze tribali, massacri di donne e bambini

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Ma si teme che le vittime possano essere molte di più.

Bambini torturati, donne violentate. Poi l’uccisione e i corpi gettati nel fiume. È l’ultimo raccapricciante bilancio della guerra tribale che infuria oramai da mesi nei villaggi della Papua Nuova Guinea, nazione che tra poco più di un mese ospiterà Papa Francesco in quello che sarà il viaggio apostolico più lungo del suo pontificato.

Ventisei i morti accertati. A perdere la vita, in una serie di attacchi avvenuti in tre villaggi situati nella provincia del Sepik orientale, nell’area settentrionale del Paese, donne e bambini. Solo pochi mesi fa, un’altra serie di attacchi fra tribù sconvolse la provincia di Enga, nel cuore della nazione, dove gli scontri sono divenuti sempre più letali a causa del significativo aumento delle armi da fuoco.

Già in passato il governo nazionale aveva aumentato le operazioni, militari e non, per frenare queste violenze, senza molto successo. Negli ultimi anni, gli scontri tribali sono aumentati di intensità: si è passati dalle semplici armi da taglio ad armi automatiche e da fuoco. Allo stesso tempo, la popolazione del paese è più che raddoppiata dal 1980, provocando un aumentando delle tensioni per l’accesso alle risorse e alla terra, riaccendendo le rivalità tribali.

E ora, mentre la nazione si prepara ad accogliere il Pontefice, la terra si bagna nuovamente di sangue. Secondo quanto riferisce la polizia locale, i massacri sarebbero avvenuti in momenti diversi. Iniziati il 17 luglio, sono continuati per diversi giorni. La preoccupazione è che il bilancio delle 26 vittime possa essere maggiore. Il numero, infatti, è stato calcolato solo sulla base dei corpi ritrovati lungo il fiume. Ma, secondo le autorità, potrebbe anche raddoppiare. E non solo per la presenza di diversi animali selvatici carnivori. I tre villaggi sono stati distrutti e i sopravvissuti, si stima circa duecento persone, sono fuggiti nella foresta. E ora sono completamente abbandonati a loro stessi.

Come appreso dall'Agenzia Fides, la direttrice nazionale della Caritas, Mavis Tito, è in costante dialogo con la Diocesi di Wewak per monitorare la situazione. Gli attacchi ai villaggi sono avvenuti infatti nell’area della parrocchia di Kanduanum: “Non si tratta di un caso isolato. Quello in corso è un conflitto tra quattro gruppi diversi che si sta accentuando sempre di più”.

Le forze dell’ordine, precisa la direttrice della Caritas, “sono presenti in zona. Ma l’area non è di facile accesso e sono arrivati quando le violenze erano già finite. Purtroppo, nonostante ci sia un dispiegamento di forze dell’odine, il numero degli agenti è insufficiente per gestire questa situazione, sempre più instabile”. E se si considera che ad oggi, a distanza di quasi dieci giorni dagli attacchi, nessun aiuto è giunto sul posto, si rischia anche la catastrofe umanitaria: “Le persone fuggite nella foresta non hanno nulla. Non ci risultano poi aiuti di nessun tipo. Anche il centro di cura temporaneo è rimasto senza rifornimenti”.

Sulla vicenda interviene anche l'alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, dichiarandosi “inorridito dallo scioccante scoppio di violenza mortale in Papua Nuova Guinea, apparentemente a causa di una disputa sulla proprietà e sui diritti di utilizzo della terra e dei laghi”.

Dall’alto commissario dell'Onu arriva nuovamente l’invito, rivolto alle autorità locali e nazionali della Papua Nuova Guinea, “a svolgere indagini rapide, imparziali e trasparenti. Chiedo inoltre alle autorità di collaborare con i villaggi per comprendere le cause dei conflitti e quindi prevenire il ripetersi di nuove violenze”.

Violenze che nascono per diversi motivi, come aveva già spiegato a Fides padre Giorgio Licini, missionario italiano del PIME e segretario della Conferenza episcopale cattolica di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone: "Gli scontri tra gli indigeni, alcuni dei quali hanno avuto i primi contatti col mondo esterno solo 70 anni fa, possono essere dovuti a vari motivi, ma soprattutto dipendono dal controllo del territorio, nella loro cultura tradizionale molto sentito. Queste tensioni sono sostenute da membri dei vari gruppi emigrati nelle città dove hanno avviato un business e, per tanto, possono inviare armi o pagare mercenari".

Gli scontri, sottolinea padre Licini, "avvengono in aree remote interne, rurali o di foresta, con un'alta incidenza di analfabetismo, caratterizzate da arretratezza culturale e sociale laddove, ad esempio, vigono pratiche di stregoneria e anche caccia alle donne ritenute streghe. In passato la situazione tra questi gruppi era più stabile. Oggi, con la mobilità e la globalizzazione, tutto è più caotico. Siamo in una fase di passaggio tra la antica cultura e una nuova identità, che però non è ancora solida e ben definita". I motivi delle violenze, dunque, sono da ricercare in questo processo di trasformazione culturale, sociale ed economica che sta coinvolgendo tutta la nazione.

[Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Fides, al quale rimandiamo; Photo Credits: L'Osservatore Romano]