Russi senza più speranza per il futuro, se non nella versione apocalittica dell'Ortodossia

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L’uomo “putiniano” è la versione attuale e infelice “dell’homo sovieticus”, e l’invasione dell’Ucraina “è quanto di più sovietico si possa immaginare”, mentre l'unica speranza per il futuro che resta per i russi, dinanzi alla possibile disgregazione del Paese come già accaduto per l'Urss, è quella nella versione apocalittica dell’Ortodossia. Dopo che il 25 dicembre scorso è caduto il 31/o anno dallo scioglimento dell’Unione Sovietica, imposto allora dal presidente della Repubblica russa Eltsin a un impotente Mikhail Gorbaciov, che in seguito al tentativo estivo del golpe da parte del Kgb aveva perso ogni controllo sulle strutture dell’impero, i quasi 12 mesi della guerra di Putin in Ucraina hanno suggerito a molti commentatori un paragone tra la fine dell’Urss e quella della Russia, che pare destinata a disgregarsi a sua volta.

Sono di uno dei più autorevoli giornalisti indipendenti ancora rimasti in libertà in Russia, Andrej Arkhangelskij, le riflessioni su tale anniversario pubblicate sul sito di Radio Svoboda, e meritoriamente rilanciate in Italia da AsiaNews, l'agenzia del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere). Proprio parlando della condizione attuale “dell’uomo putiniano”, versione attuale e infelice di quello che veniva chiamato “homo sovieticus”, Arkhangelskij ricorda che agli inizi degli anni Duemila l’opinione pubblica era insofferente rispetto alla memoria del 1991 - “per quanto dovremo parlare ancora dei tempi sovietici e delle sue tragedie” -, lasciando così questo tema alle dissertazioni degli storici.

“Ed ecco che finalmente è iniziata una vita nuova”, scrive il giornalista, “solo che è una non-vita, come afferma il filologo Mikhail Epstein”. L’anno che si è concluso è stato “il più sanguinario di tutta la storia post-sovietica”, e ha reso di nuovo attuali le memorie delle vicende sovietiche: l’invasione dell’Ucraina “è quanto di più sovietico si possa immaginare”. La storia, insomma, ritorna al punto di partenza, e la “nuova Russia” è ormai finita, per iniziare una fase oscura e tutta ancora da immaginare.

Come ricorda Arkhangelskij, nel 1994 il principale sociologo russo, Jurij Levada, osservava che “l’Urss non esiste più, ma l’uomo sovietico continua a riprodursi”, e questa analisi “si è rivelata profetica”. Si tratta in sostanza di una lezione per tutti i “sovietologi e cremlinologi”, che sostenevano come l’esperienza sovietica si potesse “guarire con metodi naturali”, attraverso l’economia, il superamento dell’ideologia totalitaria e il progresso delle istituzioni democratiche, che offrono ai cittadini la libertà di scelta. E invece la “sovieticità” non si è per nulla dissolta, ma si è trasfigurata in una nuova forma di vita, quella putiniana: “I primi 10 anni si è conservata per inerzia, quindi Putin l’ha rianimata, riportandola fuori dal sottosuolo dove sopravviveva in forma sonnambula”, spiega Arkhangelskij.

Secondo il giornalista, “il regime di Putin non ha creato nulla di nuovo, né l’ideologia né la narrativa, né i principi, ha solo ridato modo di esprimersi a un essere inanimato”. L’uomo putiniano era ormai avulso dalla realtà e dal mondo, è un “uomo locale, recluso, a differenza delle varianti più ampie dell’uomo ‘khruscioviano’ e ‘brezneviano’, che cercava il mondo attorno a sé”. È un “uomo sovietico nudo”, senza più radici e senza più speranza per il futuro, se non - ed è qui che interviene l'aspetto religioso - nella versione apocalittica dell’Ortodossia, anch’essa però un resto dell’eredità sovietica.

E' indicativo il proverbio russo che Putin ha pronunciato subito prima dell’invasione dell’Ucraina: “Ti piace o non ti piace, pazienza bella mia!” (nravitsa, nie nravitsa – terpi, moja krasavitsa!). Una frase incomprensibile agli occidentali, il cui vero significato è chiaro “solo a chi è cresciuto nelle scuole e nei cortili sovietici”. Il sottinteso è la giustificazione dello stupro, anzi un inno alla violenza in quanto tale, che “viene giustificata con dimensioni di ordine storico e morale; è il codice della violenza che vediamo all’opera in questi giorni” nella guerra in Ucraina.

La violenza putiniana è quindi la “caratteristica nazionale russa”, la sua vera ideologia, che viene diffusa dalla propaganda martellante in cui “lo stupro si compie con le parole”. L’esperienza post-sovietica è stata traumatica perché i russi hanno dovuto riscoprire e ridefinire sé stessi, a differenza di tutti gli altri Paesi e soprattutto degli occidentali, che non hanno subito “scosse telluriche di autocoscienza”. E invece di creare un uomo nuovo in un mondo nuovo, si è riaffermato l’uomo vecchio, che cerca rabbiosamente di far tornare il mondo a quello che era prima.