Dopo gli attacchi a Gaza City in aumento i feriti in arrivo all'ospedale Al-Awda

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L’ospedale, gestito da un partner di ActionAid - è uno dei 13 parzialmente funzionanti nella Striscia di Gaza ma deve costantemente far fronte alla mancanza di forniture mediche e carburante. Costretti a rimandare gli interventi programmati e ad affidarsi a piccoli generatori per mantenere in funzione la struttura. Intanto è pronto a riaprire l’ospedale anglicano, ma resta l’emergenza sanitaria.

Il personale dell'ospedale di Al-Awda, nel nord della Striscia di Gaza, afferma di aver ricevuto negli ultimi giorni molti pazienti feriti da Gaza City, a seguito dell’intensificarsi degli attacchi contro l'area. I medici dell'ospedale - gestito da partner di ActionAid - stanno lavorando per curare i nuovi arrivati nonostante la mancanza di forniture mediche vitali, attrezzature e carburante, che li ha costretti a rimandare gli interventi programmati e ad affidarsi a piccoli generatori per mantenere in funzione la struttura.
L’ospedale è uno dei soli 13 a Gaza ad oggi parzialmente funzionanti ma il personale medico teme che il numero di feriti possa aumentare ulteriormente. Mercoledì l'esercito israeliano ha emesso ordini di evacuazione per l'intera Gaza City, nonostante non vi sia alcun luogo sicuro in cui fuggire.
In una nota vocale ad ActionAid il Dottor Mohammed Salha, direttore ad interim dell'ospedale, ha dichiarato: "Da questa mattina, l'ospedale di Al-Awda ha ricevuto 12 feriti e una persona uccisa. Sono stati portati da Gaza City in seguito all'incursione dell'esercito israeliano. Abbiamo ricevuto 10 feriti che sono stati evacuati dall'ospedale Al-Mamadani [ora noto come Al-Ahli] verso gli ospedali che operano nel nord della Striscia di Gaza. Non ci sono quantità sufficienti di carburante per far funzionare i generatori. Abbiamo bisogno di medicinali e forniture mediche per eseguire gli interventi chirurgici. Le operazioni programmate sono state rimandate perché non siamo in grado di far funzionare il generatore più grande. Un mese fa l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inviato una piccola quantità di carburante che era sufficiente a far funzionare l'ospedale per una sola settimana. Ora è più di un mese che non riceviamo il carburante... Ne è rimasta solo una piccola quantità, sufficiente a far funzionare l'ospedale con piccoli generatori”.
Negli ultimi giorni si sono verificati attacchi in tutta Gaza, anche nelle aree in cui era stato detto alla popolazione di fuggire. Centinaia di migliaia di persone sono ora costrette a fuggire ancora una volta, senza speranza di trovare un posto sicuro o adatto a vivere, mentre i rifugi diventano sempre più sovraffollati e insalubri.
Riham Jafari, Coordinatrice delle attività di advocacy e comunicazione di ActionAid Palestina, ha dichiarato: “Gli ospedali di Gaza stanno affrontando una richiesta di cure enorme e allo stesso tempo si trovano ad affrontare una disperata carenza di medicinali vitali, attrezzature e carburante. È necessario far entrare immediatamente a Gaza altri aiuti, in modo che il personale degli ospedali possa continuare a svolgere il proprio lavoro vitale".
Intanto, "una buona notizia"

“Una buona notizia!”. Così sul proprio profilo X (ex Twitter) Richard Sewell, decano del St George’s College di Gerusalemme, nel pomeriggio di ieri annunciava la ripresa delle attività all’al-Ahli Arab Hospital a Gaza “a seguito delle rassicurazioni” ricevute “dall’esercito israeliano”. Tuttavia, a distanza di alcune ore la situazione resta incerta a causa, spiega il leader cristiano, del “nuovo ordine” dell’esercito israeliano di “evacuare la città di Gaza” che finisce per mettere “a repentaglio il piano di riaprire” quello che è conosciuto come "ospedale della convivenza”. “Queste sono tattiche che creano confusione - aggiunge - e tutti sono terrorizzati”.

Nel messaggio, rilanciato ieri sui social - riferisce AsiaNews -, il leader cristiano riferiva che l’al-Ahli Arab Hospital sarebbe stato in grado di “riaprire domani [oggi, ndr]”, aggiungendo che “anche l’autista della nostra ambulanza, che è stata colpita da un missile [israeliano], è stato ritrovato vivo e illeso”. In realtà l’ottimismo per il ritorno all’operatività di una struttura essenziale per rispondere ai bisogni della popolazione resta “incerto” mentre l’area circostante a Gaza City risulta “attualmente terribilmente pericolosa. Prima dell’evacuazione - spiegava Richard Sewell - ricevevamo fino a 600 persone al giorno che avevano bisogno di cure o interventi chirurgici per le loro ferite”.

Contattato dalla Reuters l’esercito con la stella di David afferma in un comunicato di aver dato istruzioni ai civili in specifiche aree di Gaza City di “allontanarsi” per ridurre al minimo il rischio per la loro vita. Tuttavia, prosegue la dichiarazione, precisa di aver detto “ai funzionari sanitari palestinesi e alla comunità internazionale che non era necessario evacuare gli ospedali della zona” compreso l’Al-Ahli. Fadel Naeem, direttore dell’ospedale anglicano, sottolinea che “i pazienti sono fuggiti dalla struttura anche se non vi era alcun ordine di evacuazione per l’area circostante”. Egli ha quindi aggiunto che “quelli in condizioni critiche sono stati evacuati in altri ospedali nel nord di Gaza”. Marwan al-Sultan, direttore dell’ospedale indonesiano, ha detto di aver ricevuto 80 pazienti e feriti da Al-Ahli che erano stipati in “ogni angolo”.

La situazione di criticità in cui versano le strutture sanitarie di Gaza è confermata dagli operatori di Medici senza frontiere (Msf), costretti a chiudere “temporaneamente” in questi giorni anche l’ultima struttura ancora operativa nel nord della Striscia in seguito all’ordine di evacuazione. “Non sappiamo cosa mangiare o bere […] Alla fine dormiamo per strada” racconta l’operatore Msf Suhail Habib, come molti altri membri del team sfollato più volte dall’inizio della guerra. “Nessuno si preoccupa di noi. Sono arrabbiato - aggiunge - perché i feriti arriveranno alla clinica e la troveranno chiusa” e per le ripetute chiusure le persone nel nord “non hanno quasi più alcuna possibilità di ottenere l'assistenza sanitaria essenziale”.

Intanto proseguono i negoziati per la tregua a Gaza, un passo fondamentale per limitare l’emergenza umanitaria già gravissima e per “spegnere” anche il cosiddetto “fronte nord” del conflitto, che vede impegnati l’esercito israeliano e le milizie sciite libanesi di Hezbollah. In queste ore è intervenuto lo stesso capo del “Partito di Dio” Hassan Nasrallah, il quale ha affermato che “se vi sarà un accordo di cessate il fuoco a Gaza, anche il nostro fronte cesserà (le ostilità) senza alcuna negoziazione”. Intervenendo dal suo bunker, il leader sciita libanese ha poi aggiunto che “stiamo raggiungendo gli obiettivi della nostra campagna, logorare il nemico” e questo implica “esercitare pressione su Israele affinché accetti un cessate il fuoco”. In questo quadro, conclude, “l’equazione è chiara: se vogliono la quiete a nord, deve esserci un cessate il fuoco” nella Striscia.

Intanto il Washington Post afferma che Hamas ha accettato un piano di “governo provvisorio” nella Striscia di Gaza come parte della seconda fase di un accordo che porrebbe fine alla guerra e il rilascio degli ostaggi. Il governo provvisorio, secondo la fonte, non sarebbe legato né ad Hamas né alle forze israeliane, ma prevederà una forza di circa 2.500 sostenitori dell’Autorità palestinese (Ap) a Gaza a cui saranno affidate le questioni di sicurezza, dopo l’addestramento di funzionari americani. Parole che alimentano il “cauto ottimismo” degli Stati Uniti, espresso dal portavoce della sicurezza nazionale John Kirby il quale ha aggiunto che le distanze tra le due parti possono essere presto superate, perché i negoziati starebbero andando “nella direzione giusta”.

[Photo Credits: AsiaNews]