Il massacro a Rafah blocca i negoziati? Intanto anche Hamas torna a colpire
Decine di morti e feriti in un bombardamento nel sud della Striscia di Gaza, mentre i razzi di Hamas tornano a prendere di mira la zona di Tel Aviv. Questo il punto dell'ISPI.
Quanto più tutto cambia, tanto più resta come prima. Dopo quasi otto mesi di guerra e un bilancio che conta ormai quasi 37mila vittime palestinesi, Israele continua a colpire duramente nel sud della Striscia a poche ore dal lancio di razzi dall’enclave – il primo dopo quattro mesi – verso la zona di Tel Aviv. Nella notte, circa 40 palestinesi sono rimasti uccisi in un bombardamento nel quartiere di Tal al-Sultan, nella zona occidentale di Rafah, diventato rifugio per centinaia di profughi provenienti da altre zone dell’enclave costiera. Funzionari della sicurezza israeliana, citati dal Jerusalem Post, hanno dichiarato che prima dell’attacco l’esercito aveva effettuato "diverse operazioni" per assicurarsi che non ci fossero civili nell'area. Il raid aereo, che secondo le ricostruzioni israeliane aveva come obiettivo alcuni operativi di Hamas, ha suscitato condanne e critiche a Israele, tanto più che arriva a pochi giorni dal nuovo monito della Corte internazionale di giustizia (ICJ), che intima a Tel Aviv di fermare immediatamente gli attacchi in atto su Rafah. La salva di razzi lanciata dalla Striscia contro Israele, invece, è stata quasi completamente neutralizzata dal sistema di difesa aereo israeliano, ma è il sintomo di quanto Hamas continui a rappresentare una minaccia anche dopo mesi di devastanti operazioni israeliane nell'enclave costiera.
Strage di civili?
L'agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito che 40 palestinesi sono stati uccisi nell’attacco israeliano contro una tendopoli a Tal as-Sultan, ma le cifre sono ancora da accertare. Molti dei feriti, trasportati nelle strutture sanitarie più vicine, hanno subito gravi ustioni per l’incendio deflagrato a seguito del raid. Secondo quanto ricostruisce l’emittente panaraba Al-Jazeera, citando fonti ufficiali palestinesi, l’attacco è avvenuto dopo che le forze israeliane hanno bombardato anche altre aree della Striscia, tra cui Jabalia, Nuseirat e Gaza City. L'Autorità nazionale palestinese (ANP) ha denunciato l’accaduto come un “atroce massacro” e il portavoce ufficiale di Ramallah, Nabil Abu Rudeineh, ha evidenziato che Israele “ha oltrepassato ogni limite”. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, si è spinto a paragonare Netanyahu a Adolf Hitler e Slobodan Milosevic. Condanne sono arrivate anche da vari attori regionali come Egitto, Giordania e Qatar, che finora ha svolto un ruolo chiave come mediatore dei colloqui Hamas-Israele. Il ministero degli Esteri di Doha ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che il raid potrebbe ostacolare gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco e un accordo di scambio tra prigionieri. Le tensioni con l'Egitto, paese confinante con la Striscia di Gaza, sono culminate oggi in uno scontro a fuoco con le forze israeliane al valico di Rafah, i cui contorni sono ancora da chiarire, costato la vita a un militare egiziano.
Hamas può ancora colpire?
Il fine settimana è stato segnato anche dal primo significativo lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro Israele dopo quasi quattro mesi, rivendicato ufficialmente dalle brigate Izzeddine Al-Qassam, braccio armato di Hamas. Secondo le Forze di difesa israeliane (IDF), degli otto proiettili lanciati verso l’area di Tel Aviv, tre sono stati intercettati dal sistema antimissile Iron Dome, altri 5 sono finiti in aree aperte e semidisabitate. L'attacco, partito proprio da Rafah secondo l’IDF, è avvenuto intorno alle 14:00 di domenica (ora locale) e non ha provocato vittime, ma suscita non pochi interrogativi sull’andamento della guerra. Il raid, infatti, dimostra che il gruppo armato palestinese mantiene ancora un certo grado di capacità operativa, dopo mesi di un’avanzata israeliana nella Striscia il cui obiettivo dichiarato era proprio fermare gli attacchi di Hamas in territorio israeliano. Benny Gantz, ministro e membro del gabinetto di guerra israeliano, ha commentato l’attacco dicendo che "il lancio di oggi da Rafah dimostra che l'IDF deve agire ovunque sia Hamas, e così sarà”.
Pressioni inutili?
Il governo israeliano, dunque, sembra decisamente intenzionato a tirar dritto, nonostante le crescenti pressioni di cancellerie e istituzioni internazionali. Alle iniziative presso la Corte di giustizia ONU, tra cui l’accusa di atti di genocidio mossa dal Sudafrica contro Israele a gennaio, si è aggiunta di recente la richiesta di un mandato di cattura per Netanyahu (e vari leader di Hamas) presso la Corte penale internazionale (CPI), anch’essa con sede all’Aja. La scorsa settimana, inoltre, la Spagna ha annunciato il riconoscimento della Palestina, insieme a Norvegia e Irlanda, ma ancora una volta l’attore su cui si appunta maggiormente l’attenzione internazionale sono gli Stati Uniti di Joe Biden. Con un pressing serrato, nelle scorse settimane l’amministrazione USA sembrava aver momentaneamente dissuaso Tel Aviv dall’avviare un’offensiva di terra su larga scala a Rafah, ultimo rifugio per 1,5 milioni di rifugiati palestinesi. Ma se, allo stato attuale, Israele dovrebbe limitarsi a condurre “raid mirati” dal corridoio di Netzarim, la strage di Tal al-Sultan dimostra plasticamente la fragilità di questa impostazione. Netanyahu ha definito l'attacco un "tragico errore", e ha aggiunto: "Stiamo indagando sul caso, questa è la nostra politica".
Il commento di Mattia Serra, ISPI MENA Centre
“Gli otto razzi partiti ieri da Rafah sono niente a confronto delle migliaia lanciati il 7 ottobre. Eppure, dopo otto mesi di incessanti bombardamenti e manovre militari, sorprende che Hamas sia ancora in grado di scagliare razzi verso Israele. A molti questo fatto potrà sembrare l’ennesima dimostrazione di una strategia che non ha funzionato, la conseguenza di obbiettivi politici mai definiti. Ma se dal punto di vista politico la situazione sembra essere cambiata poco in questi mesi, quello che è mutata è senza dubbio la fisionomia di Gaza: una Striscia di cui rimangono solo macerie e da cui giungono ogni giorno immagini sempre più strazianti. Quello che sorprende davvero è come sia possibile che a otto mesi di distanza la situazione sia ancora questa: bombe che continuano a essere sganciate, corpi che continuano ad accumularsi, decisioni politiche che continuano a essere rinviate – e non solo in Israele”.
Ad ulteriore commento di quanto accaduto, pubblichiamo l'editoriale di don Tonio Dell'Olio sulla rivista di Pax Christi 'Mosaico di pace', fondata da don Tonino Bello.
Quelle bombe sul futuro
Ciò di cui non riusciamo a renderci conto con consapevolezza e senso di responsabilità è che le bombe che uccidono oggi la gente errante, inerme, stremata, sotto le tende precarie di Rafah, sono bombe sul futuro. Israele e Hamas stanno spargendo la gramigna dell'odio che nutre la vendetta. Quelle bombe stanno persuadendo anche i palestinesi più critici o addirittura contrari verso Hamas che il terrorismo è l'unica risposta alla brutalità dei massacri. Diventa sempre più difficile percorrere un'altra strada magari nel dialogo o nel riconoscimento delle ragioni dell'altro, quando quelle ragioni hanno la presunzione di affermarsi con l'orrore di donne e bambini massacrati. Il tutto nel silenzio generale, sotto l'ipocrisia del principio inviolabile della sovranità nazionale e nel nome della legittimità della violenza della guerra. Resta flebile e tenue quel filo di speranza contenuto nell'appello che è stato firmato da papa Francesco a Verona e che indica in ben 160 organizzazioni per la pace dei due popoli riunite nell'Alleanza per il Medio Oriente, i partner per la comunità internazionale a cominciare dal G7. Non dobbiamo smettere di sostenere la speranza che un'alternativa alla carneficina esiste.
[I due articoli qui riportati, di Francesco Petronella e Tonio Dell'Olio, sono stati pubblicati rispettivamente sul sito dell'Ispi e su quello di Mosaico di pace, ai quali rimandiamo; Photo Credits: ISPI]