Medio Oriente: escalation a tutti i costi

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L’uccisione di un esponente di spicco di Hamas in Libano, seguita a poche ore da una doppia esplosione a Kerman, in Iran, alimentano i timori di una deflagrazione a livello regionale. Leggiamo il punto dell’ISPI.

L’uccisione in quartiere a sud di Beirut del numero due di Hamas, Salah al Arouri, seguita a poche ore di distanza da un attentato terroristico a Kerman, in Iran, fanno tremare il Medio Oriente. Mai come in questo momento il rischio di un’escalation regionale del conflitto tra Israele e Hamas era apparsa inevitabile o comunque molto probabile. Fonti diverse indicano che dietro l’omicidio di Al Arouri ci sarebbe Israele che però non l’ha rivendicato, ma i segnali di uno scontro più vasto ci sono tutti: dal persistere dei lanci di razzi incrociati al confine tra il sud del Libano e il nord di Israele, al moltiplicarsi dei raid su Damasco, in Siria, da parte dell’aviazione israeliana, fino agli assalti con droni e missili nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden da parte dei ribelli yemeniti Houthi, vicini all’Iran. Mentre lunghe ombre si addensano sul futuro della regione, a complicare una situazione già tesissima è intervenuto ieri a Kerman, in Iran, un doppio attentato che ha causato più di cento morti e 170 feriti: due valigie cariche di esplosivo sono deflagrate in mezzo alla folla riunitasi nel cimitero della città, nell’anniversario della morte di Qassem Soleimani, ex comandante delle Guardie Rivoluzionarie ucciso dagli Stati Uniti il 3 gennaio del 2020. Se Teheran ha condannato l’attentato ma senza puntare direttamente il dito su nessuno, il tempismo dell’attacco fa temere che ci sia chi – nella regione o fuori – voglia l’escalation a tutti i costi.

Una vittima eccellente?

Tra le tante incognite che incombono sul Medio Oriente, una certezza riguarda il fatto che quello di Saleh al Arouri, ucciso assieme alle sue guardie del corpo alla periferia meridionale della capitale libanese, cuore della roccaforte di Hezbollah, non è l’omicidio di un leader qualsiasi. Il 58enne era infatti una delle figure politiche dell’organizzazione palestinese più vicine all’Iran e considerato il punto di riferimento dell’ala armata del gruppo – le Brigate Ezzedine al Qassam – all’interno dell’ufficio politico di Hamas.  Su di lui pendeva una taglia emessa dagli Stati Uniti del valore di cinque milioni di dollari. Già prima dell’inizio della guerra a Gaza diversi analisti avevano ipotizzato che i rapporti tra Hamas e Hezbollah si fossero rinsaldati proprio grazie al ruolo da lui svolto in Libano, dove svolgeva un ruolo simile a quello di “ambasciatore” per conto di Hamas presso Hezbollah. Dopo l’attacco del 7 ottobre, aveva dichiarato ad Al Jazeera che il movimento non avrebbe discusso un accordo di scambio di prigionieri prima che fosse posta fine all’offensiva israeliana su Gaza. “La resistenza è pronta per tutti gli scenari militari – aveva affermato – Non c’è paura o preoccupazione. Vinceremo”.

Un successo catastrofico?

Alla luce di tutto ciò è comprensibile che pur non avendolo rivendicato, l’omicidio Al Arouri sia stato accolto a Gerusalemme come una vittoria. Mentre i leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar e Mohamed Deif sono infatti ancora ben nascosti da qualche parte nella Striscia, la morte di Arouri, osserva il quotidiano Al Sharq al Awsat è “il primo vero successo che il premier Benjamin Netanyahu può esibire agli occhi dell’opinione pubblica israeliana”. In questo senso l’eliminazione del numero due di Hamas è una boccata d’ossigeno per un primo ministro bersagliato dalle critiche, ma ad un prezzo di cui non si può non tenere conto: riguarda la sorte dei 129 ostaggi da tre mesi nelle mani dei miliziani palestinesi. L’omicidio infatti ha avuto come prima e immediata conseguenza la sospensione dei colloqui indiretti al Cairo – come confermato da fonti egiziane – finalizzata ad un nuovo scambio di ostaggi a fronte della liberazione di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Se il primo ministro Netanyahu continua a insistere che “solo la pressione funzionerà” contro Hamas, i familiari delle persone sequestrate sono sempre più critiche nei confronti della strategia del ‘pugno di ferro’. E secondo un sondaggio condotto dall’Istituto per la democrazia israeliana, solo il 15% degli israeliani vuole che il premier mantenga il suo incarico una volta finita la guerra.

Scongiurare l’escalation si può?

Mentre i segnali di un allargamento della guerra tra Israele e Hamas si moltiplicano, aumentano anche gli appelli di chi chiede di scongiurare l’escalation. “La comunità internazionale deve imporre una soluzione al conflitto poiché le parti in guerra non riescono a scendere a patti”, ha affermato Josep Borrell. Intervenendo ad un evento a Lisbona, il capo della politica estera dell’Unione Europea  ha detto: “Credo che in questi trent’anni abbiamo imparato che la soluzione deve essere imposta dall’esterno perché le due parti non riusciranno mai a raggiungere un accordo. Se questa tragedia non finirà presto, l’intero Medio Oriente potrebbe finire in fiamme”. Anche il presidente russo Vladimir Putin è intervenuto sulla situazione nella regione e dopo aver condannato “il terrorismo in tutte le sue forme”, ha affermato che l’attacco a Kerman è stato “scioccante nella sua crudeltà e cinismo”. In serata, durante un atteso discorso pronunciato da una località segreta in Libano, anche il leader di Hezbollah Hasan Nasrallah è intervenuto sugli sviluppi nella regione accusando Israele dell’uccisione di Al Arouri: “Il suo omicidio non rimarrà senza risposta” ha detto, avvertendo che l’immagine di Israele “è ormai decaduta da punto di vista umano, morale e legale” aggiungendo che in tutto il mondo d’ora in poi lo Stato ebraico “sarà visto come uno che uccide e affama bambini e civili”.

Il commento. Di Mattia Serra, Research Assistant ISPI MENA Centre

“L’uccisione di Saleh Arouri segna un punto di svolta. Se già negli ultimi giorni la situazione al confine tra Libano e Israele stava peggiorando, questa operazione mescola tutte la carte sul tavolo, rendendo il rischio di un’escalation regionale sempre più concreto. È un gesto forte, rivolto sia alla leadership di Hamas che a quella di Hezbollah. Se è vero che l’operazione non impatta sulle capacità militari di Hamas, quest’attacco ha un alto valore simbolico e politico. Ha colpito una delle figure più di spicco di Hamas in un luogo – il quartiere Dahiyeh – che è di fatto il quartier generale di Hezbollah. Per Gaza, le ricadute di questa operazione sono limitate allo stop dei negoziati per la nuova tregua. Ma gli occhi sono ora puntati su Hassan Nasrallah e sulle prossime decisioni della leadership del partito-milizia. Il costo di una guerra regionale sarebbe altissimo e le sue conseguenze imprevedibili”.

(Fonte: ISPI; Foto: X.com/Gaza Report)