Siria: Assad al contrattacco, bombe su Idlib e Aleppo
La conquista lampo di Aleppo da parte dei ribelli espone la fragilità del regime di Bashar al-Assad, i cui alleati sono alle prese con i loro conflitti. Questo il punto di Alessia de Luca per l'ISPI.
Il presidente Bashar al-Assad mobilita gli alleati epassa al contrattacco: voci non confermate riferiscono dell’ingresso di milizie iraniane dall’Iraq per dare man forte all’esercito siriano assediato nel nord; nel mentre, l’aviazione russa ha avviato una massiccia campagna di bombardamenti aerei contro le forze di opposizione nel nord del paese, protagoniste di un’offensiva lampo costata al regime il controllo di Aleppo. I ribelli sono entrati senza incontrare resistenza nella seconda città della Siria, patrimonio mondiale Unesco e loro principale roccaforte fino a quando Assad non ne riprese il controllo nel 2016, mantenendolo fino ad oggi. Allora le forze anti-regime avevano invaso solo una parte della città, mentre stavolta l’hanno conquistata per intero e stanno proseguendo l’avanzata verso sud, in direzione di Hama. Un successo inaspettato e travolgente, che ha colto tutti di sorpresa. Si tratta della minaccia più grave per Assad da quando l’intervento di Mosca aveva contribuito a invertire in suo favore le sorti del lungo conflitto civile esploso nel paese nel 2011.
Un regime isolato?
Pur essendo riuscito a rimanere alla guida del paese, grazie al sostegno di Mosca e Teheran, e a farsi reintegrare nella Lega araba nel 2023, Bashar al-Assad è rimasto un paria sulla scena internazionale in seguito alla sanguinosa repressione portata avanti contro il suo popolo. Dalla firma degli accordi di Astana nel 2020 di fatto governa su un paese diviso, in cui le forze filogovernative controllano pienamente solo Damasco e dintorni, mentre il nord-est e i suoi pozzi petroliferi sono rimasti in mano ai curdi e il nord-ovest è sotto il controllo delle forze antiregime. Da allora non ci sono state grandi rivolte, ma il governo non ha mai riconquistato tutto il territorio siriano. E, come dimostrano gli eventi di questi giorni, la resistenza armata non è mai scomparsa. La corruzione endemica e le sanzioni, imposte dagli Stati Uniti e rafforzate nel 2020 con la legge ‘Caesar’ – dal nome in codice di un fotografo della polizia militare siriana che ha documentato migliaia di casi di tortura nelle carceri governative – hanno portato l’economia sull’orlo del collasso, trasformando la Siria in un narco-stato che ha di fatto inondato i paesi vicini di Captagon, una potente droga sintetica, fomentando l’instabilità regionale.
Chi sono i ribelli?
È in questo contesto che i ribelli, riuniti sotto l’autoproclamato ‘Comando delle operazioni militari’ si sono lanciati alla conquista di Aleppo. Il raggruppamento è composto da un ampio spettro di forze, che comprende fazioni islamiste e più moderate. A guidarli c’è Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un tempo noto come Fronte Al-Nusra ed ex affiliato di al Qaeda in Siria. Oggi il gruppo, guidato da Mohammed al Jolani, ha ufficialmente tagliato i legami con il terrorismo internazionale e governa de facto la città di Idlib, nel nord-ovest. A loro si sono uniti gruppi sostenuti dalla Turchia, come l’Esercito siriano libero che ha dichiarato domenica di aver preso il controllo delle città di Tal Rifaat, Ain Daqna e Sheikh Issa nella parte settentrionale del governatorato di Aleppo. Ha anche affermato di aver catturato i villaggi di Shaaleh e Nairabiyyeh nella campagna settentrionale di Aleppo. Questi ultimi in particolare erano precedentemente detenuti dalle Forze democratiche siriane, composte in gran parte da combattenti curdi appartenenti a un gruppo noto come Unità di Protezione Popolare (YPG), considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia.
Una guerra nella guerra?
La fulminante offensiva dei ribelli su Aleppo evidenzia l’isolamento e la debolezza del regime di Damasco con cui Erdogan – anche su spinta della Russia – ha cercato per anni, invano, di negoziare la normalizzazione diplomatica. Il presidente Bashar Al-Assad ha chiesto in ogni fase dei colloqui il ritiro delle truppe turche dal nord del paese e la fine della collaborazione con l’opposizione siriana. Due richieste che da parte turca sono sempre state non negoziabili. Uno degli obiettivi di Ankara è organizzare il ritorno dei circa tre milioni di profughi siriani che il paese accoglie sul suo territorio. Di certo c’è che il riaccendersi di un conflitto ‘congelato’ come quello siriano aggrava una situazione regionale già allarmante. Che effetti avrebbe un crollo dei regime siriano mentre la guerra infuria ancora tra Israele e la Striscia di Gaza e la tregua con Hezbollah rischia di saltare da un momento all’altro? Cosa accadrebbe se i sostenitori di Assad decidessero di salvare di nuovo Damasco? Il Medio Oriente, che già prima era in crisi, appare sempre più nel baratro.
Il commento di Valeria Talbot , Head of ISPI’s Middle East and North Africa Centre
“L’offensiva delle forze ribelli nel nord-ovest della Siria riporta al centro dell’attenzione internazionale una crisi “sopita”, ma di fatto mai risolta. E mette in evidenza tutte le fragilità del regime di Damasco in una fase di forte indebolimento del fronte dei suoi alleati regionali, dall’Iran a Hezbollah, sfiancato da mesi di attacchi israeliani in territorio libanese. Mentre la Russia interviene a sostegno di Bashar al-Assad e Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna invitano le parti alla de-escalation, è legittimo chiedersi quale futuro attende la Siria e la sua popolazione già martoriata da anni di conflitto, oppressione e crisi economica”.
[Fonte e Foto: ISPI]